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Giornalismo anni 1960

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01/11/1960 FANFANI A CHIOGGIA
Visita del presidente del consiglio dei ministri.
Tutte le autorità clodiensi schierate, popolo acclamante,
bambini compresi. Fu il mio primo film 8 mm.
Avevo 14 anni.
>> film non-profit 1960


RESPIRAVO GIORNALISMO

29/10/2023. Negli oltre cinquant’anni di attività giornalistica, mio padre, Bruno Salvagno [biografia], collaborò con 14 quotidiani, 12 periodici (numerosi dei quali a tiratura nazionale), con alcune agenzie di informazione e con RAI Veneto.
Casa nostra era ufficio di cronaca de Il Gazzettino con tanto di grande targa sulla facciata.
Inutile dire che l'intero ritmo familiare doveva essere sincronizzato con i suoi impegni e che noi figli, quando possibile, lo dovevamo coadiuvare.
Puntualmente, alle 10:15, c'era la "fissa" quotidiana con la sede Rai di Venezia, una chiamata telefonica durante la quale si dettavano gli articoli ad un operatore che li registrava su di un disco di gomma. I nomi dovevavo essere ripetuti due volte, se necessario compitandoli con le iniziali delle città. Prima di affidare a me questo importante incarico, già quando ero alle medie (ormai ero pure diventato un esperto dattilografo sulla vecchia Remington, modello Altare della Patria), ricordo che papà mi faceva rileggere ad alta voce il pezzo almeno un paio di volte prima dell'ora X.
Verso le 12:00 a volte faceva portare a me pure le preziose buste “fuori sacco” all’Ufficio Postale contenenti gli articoli urgentemente destinati alle varie redazioni dei giornali.
Dopo aver dedicato alla scrittura anche le ore pomeridiane, all’imbrunire papà celebrava il rito fisso della visita all’Ospedale Civile e alle Caserme dei Carabinieri e della Polizia a “caccia” di informazioni per la cronaca. E pure qui, a volte, mandava me, ormai ben conosciuto da medici e forze dell'ordine. Per conto di mio padre, spesso presenziavo pure alle sedute serali del Consiglio Comunale, seduto - solo - sull'apposito tavolino riservato alla stampa.

1964 ca FAMLIARI DI ALDO E DINO BALLARIN
In veste di fotoreporter spesso accompagnavo
mio padre a fare le sue interviste.

>> foto profit 1964

Talvolta ospitavamo in casa gli inviati della Rai (ricordo in particolare Nino Vascon) che giungevano a Chioggia con una giardinetta occupata nella parte posteriore da un enorme registratore con nastri Ampex. La parcheggiavano sotto casa e tramite un lungo filo che arrivava al secondo piano la collegavano al microfono che piazzavano sul tavolo della camera da pranzo. Personalità ed autorità venivano qui direttamente intervistate.
Ma avevo solo sei o sette anni quando per la prima volta contribuii in prima persona all'italica informazione. Sulla riva canal Lombardo, angolo calle Fattorini, a piano terra, c'era la nuovissima e importantissima Stazione di Radiopesca. La ricordo perfettamente per l'incredibile fascino delle sue valvolone a vista che mandavano rossastri e tremuli bagliori, per tutti quegli interruttori con relative spie colorate e per quelle lancette dietro i vetri che continuavano ad oscillare in strumenti simili a orologi. Era stata predisposta per permettere ai naviganti la comunicazione mare-terra. Eravamo sotto Natale e la Rai decise di dedicare un servizio a questa meraviglia. Finì che registarono un finto colloquio in dialetto tra me, davanti al microfono della Stazione, e mio padre a bordo di un peschereccio ormeggiato lì di fronte. Lui fingeva però di essere in alto mare e io gli chiedevo di tornare presto a casa e di portarmi tanti doni. Forse ricordo male, ma per l'occasione il mio cachet fu di mille lire, soldi subito comunque inglobati nel bilancio familiare.

Fu un'esperienza davvero determinante per me, tanto che a dieci anni già avevo imparato l'alfabeto Morse (papà da militare era stato un radiotelegrafista) e a undici costruivo la mia prima radio-galena. Quando poi riuscii pure ad assemblare una scadentissima trasmittente a due sole valvole ricordo che - troppo avanti con i tempi - sognavo ormai di fondare Radio Chioggia, con tanto di notiziario trasmesso utilizzando gli articoli di papà. Eravamo nel 1958 e solo nel 28 luglio 1976, una sentenza della Corte Costituzionale sancì la legittimità delle trasmissioni radiofoniche private, purché a diffusione locale.

Inutile dire che, già appassionato di fotografia, vuoi per il negozio sottocasa, vuoi perché anche mio padre aveva coltivato quell'interesse, un altro importante incontro sulla mia via di Damasco furono i vari operatori cinematografici che passarono per casa nostra quando iniziarono le trasmissioni televisive della Rai. Utilizzavano la mitica Arriflex 16 mm e in fretta e furia spedivano le pellicole a Roma dove in fretta e furia venivano sviluppate e trasmesse nel telegiornale della stessa sera. Tra questi ricordo Mariso Varagnolo. Fu così che anch'io mi armai della altrettanto mitica Kodak Brownie 8 mm e girai il mio primo filmato dedicato all'arrivo di Fanfani a Chioggia. Correva l'anno 1960 e avevo 14 anni.


Giugno 1961 INAUGURAZIONE LICEO SCIENTIFICO
Stavo finendo la prima liceo e ci eravamo da poco
trasferiti in questa nuova sede, nel quartiere Tombola.
Quindicenne, "figlio del giornalista", cominciavo a essere
già un po' noto anche come fotografo e cinereporter.
Fu così che il preside mi chiese di filmare la cerimonia.
>> film non-profit 1961


Tra gli inviati e scrittori che frequentarono casa mia non posso infine dimenticare i grandi Orio Vergani e Giovanni Comisso, tra i fotoreporter, Mario De Biasi di Epoca che un giorno, per averlo accompagnato in alcuni luoghi fotograficamente strategici, mi regalò ben 4 rulli 120 di diapositive Kodak.

Non posso nemmeno dimenticare le visite che facevo con papà alle sedi veneziane della Rai (con gli studi tappezzati di stoffe fonoassorbenti) e de Il Gazzettino. E qui sento ancora negli orecchi il tremendo sferragliare di qualche decina di Linotype che in una grande sala componevano e giustificavano automaticamente le linee di caratteri fondendo il piombo. Motivo per cui - mi spiegava sempre mio padre - gli operatori, mentre lavoravano, dovevano bere litri di latte. Ebbene, non ci crederete, ma feci tempo, a metà anni 70, di sentire ancora quell'assordante rumore nella prima tipografia che a Roma stampava il giornale da me diretto per FAITA FederCamping, "Il nuovo gestore". Poi - almeno dal punto di vista tecnologico - ne passò dell'acqua sotto i ponti...

Sì, certo, imparai anche a scrivere articoli. Ricordo bene che il primo mi fu commissionato da mio padre quando arrivò a Chioggia un Luna Park. Mi diede una manciata di biglietti omaggio e mi raccomandò, come al solito, di non accettare caramelle da sconosciuti, senza spiegarmi mai il perchè (unica educazione sessuale che ricevetti in famiglia). Avevo appena superato l'esame di quinta elementare e, abbandonate le ripetizioni collettive della vecchissima maestra Baruffaldi (ma avrà avuto sicuramente molti meno anni di quelli che io ho adesso) ero passato alle cure educative di mio zio don Tullio (nella canonica della chiesa di San Domenico). Quell'estate, a dieci anni, mi aveva subito massacrato con analisi grammaticale e analisi logica (fu la mia fortuna, grazie zio!). Insomma scrissi un pezzo in cui elencavo una ad una tutte le giostre e tutte le ghiottonerie presenti, lo passai orgoglioso a mio padre e il giorno dopo lessi su Il Gazzettino, in fondo a una colonnina, nella cronaca cittadina: "Arrivato un Luna Park all'Isola dell'Unione si fermerà fino al giorno 31". Punto e fine. Ci riprovai con un circo. Descrissi tutti gli esercizi, tutti i giochi e tutti gli animali, ma di nuovo, l'indomani: "Il circo Togni ha alzato il tendone in quartiere Tombola, darà spettacolo per cinque giorni". Chiesi allora a mio zio di insegnarmi a fare bene anche i riassunti e mi specializzai nella produzione di testi concisi, sintetici, essenziali. Un'arte che mi venne molto utile con l'avvento del web. Ma come vedete, qui, invece, ho finalmente deciso di sfogarmi!

Motivo per cui continuo a raccontarvi che in prima liceo, con altri pochi compagni, editammo un giornalino che chiamammo "La Bricola". Usavamo il ciclostile della Curia e godemmo pure di un minuscolo contributo del Comune, allora perfettamente democristiano. Senonchè un giorno del 1961, tutti presenti a un Consiglio Comunale con all'ordine del giorno anche il rinnovo della nostra paghetta, il sindaco Marino Marangon ci convocò nel suo ufficio per dirci che era costretto a tagliarci i fondi poichè in un articolo avevamo criticato la costruzione del nuovo Liceo. Avevamo scritto che prevedeva solo cinque aule, mentre era stato sprecato un sacco di spazio per costruire una esagerata rampa. Finì che ci ritrovammo tutti a fare campagna elettorale per il Partito Repubblicano di Ugo La Malfa. Non ricordo invece se mai più saldammo quel debito di diecimila lire che avevamo con la ditta Pellegrini di Mestre, nostra fornitrice di inchiostri e matrici.

Un ultimo aneddoto, lo giuro! Agli inizi, negli anni Cinquanta, mio padre veniva pagato tre lire a riga, più trecento lire per un titolo di tre colonne e cinquecento per una eventuale foto. Un conteggio noioso che faceva a mano non essendo dotato, chissà perchè, di un tipometro; e spesso lo affidava a me. Fu così che imparai che invece di scrivere la semplice parola "goal" era più redditizio scrivere "la sfera di cuoio andava a insaccarsi nella rete avversaria". Va detto però che su un altro importante argomento insegnò invece a me e ai miei fratelli di mai dilungarsi. Ce lo raccomandava ogni volta che doveva partire per un viaggio affidandoci l'ufficio di cronaca per qualche giorno. Non dovevamo mai spiegare come era avvenuto un incidente (che di solito comunque "avrebbe potuto avere più gravi conseguenze"), ma scrivere solo "per cause ancora imprecisate". Tanto per evitare che i contendenti venissero a trovarci minacciosi a casa.

 

 

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